Salmo 22: il Dolore che Non Si Riesce a Spiegare Razionalmente - Liquefazione dell’Anima - n.144
-di Renzo Ronca 30-9-25
“Io sono come acqua
versata, tutte le mie ossa si disgiungono; il mio cuore è come cera, si
scioglie dentro di me.” (Salmo
22:14)
Questa immagine non è solo poetica: è viscerale,
corporea, mistica. Non è il ritorno alla terra di un corpo che si
polverizza, ma la dissoluzione nel dolore, come se l’anima non avesse
più forma, più resistenza. Ripeto: la dissoluzione nel dolore come se l’anima
non avesse più forma né resistenza.
È la liquefazione dell’Io, non per
scelta, ma per impatto. È il punto in cui la sofferenza non si può più
contenere, e si riversa.
Davide canta, ma canta oltre sé stesso.
Come i profeti, come i cantautori ispirati, dice cose che lo Spirito gli
affida, che vanno oltre la sua vita presente. Questo versetto è profetico
di Cristo, ma anche esperienziale per ogni servitore che attraversa la
notte.
La notte che dura
più di una notte
La notte dell’anima è un concetto
mistico, ma cogliamo qualcosa di più profondo: che alcune notti non
finiscono all’alba. Geremia lo sa. Maledice il giorno della sua nascita, ma
non può smettere di servire Dio (Geremia 20:9). È il paradosso del
profeta: non vuole vivere, ma non può smettere di parlare.
E allora, come si continua? Resistendo.
Non per forza, ma per fede. Non
per volontà, ma per vocazione. Non perché la sofferenza sia giusta, ma
perché Dio è giusto, e sa quando intervenire.
Il liquefarsi davanti a Dio non è solo
abbandono teologico. È esperienza mistica, annullamento dell’Io, fusione
con l’Altro assoluto. È ciò che i mistici chiamano unione trasformante.
Ma è anche ciò che Gesù ha vissuto: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?” (Salmo 22:1; Matteo 27:46).
Nessun uomo proverà mai quell’abbandono assoluto, perché in noi che crediamo c’è sempre una voce divina, anche se sussurrata. Ma possiamo partecipare a quel dolore, condividerlo, portarlo. E in questo, non siamo soli.
Il tempo finale e
la sentinella
Può capitare di sentirci soli come se
fosse la parte finale della nostra vita. E forse anche la generazione umana
è alla fine, la differenza che il mondo non lo vede. Questo è sentimento profetico che Dio
stesso diffonde nei cuori delle persone amate, non presunzione. È la veglia
della sentinella, che vede l’alba mentre gli altri dormono. Uno può chiedersi:
“A che serve che lo veda io solo?” Serve perché Dio ha bisogno di
sentinelle, di voci che non si spengano, di cuori che non si
chiudano. Serve perché la generazione non è ancora pronta, ma qualcuno
deve preparare la via.
Conclusione
Viviamo come se fosse un giorno come un
altro. Ma non lo è. Ogni giorno è una soglia, ogni sofferenza è una
partecipazione, ogni liquefazione è una possibilità di unione.
Alcuni di noi stanno vivendo una notte
lunga, ma non sono soli. E forse, proprio perché la vivono, possono
aiutare altri a attraversarla. Non per spiegare, ma per essere presenti
e condividerla. Come Davide, come Geremia, come Cristo.
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