Libro di Giobbe Verso la Conclusione – Le Varie Dimensioni del Creato

  -di Renzo Ronca 18-6-25 

(prosegue da https://ritornocristiano.blogspot.com/2025/06/i-dieci-figli-di-giobbe-riflessione.html

In conclusione, possiamo dire che il libro di Giobbe, dopo aver creato una certa tensione attorno al perché della sofferenza umana, non offre una risposta come ce l’aspetteremmo, ma apre ampi spazi di riflessione. Quando Giobbe si trova realmente alla presenza di Dio, sperimenta una realtà sconvolgente: una dimensione, una potenza, un’altezza e una sapienza che non poteva immaginare. “Puoi tu unire assieme i legami delle Pleiadi, o sciogliere le catene di Orione?” (Giobbe 38:31).

È come se il libro presentasse livelli diversi di conoscenza, superiori alla logica di giustizia umana su cui Giobbe aveva basato il suo pensiero. Un passaggio esprime bene la differenza tra l’acquisizione razionale e l’esperienza diretta del Dio vivente: “Il mio orecchio aveva sentito parlare di te, ma ora l'occhio mio ti ha visto. Perciò mi ravvedo, mi pento sulla polvere e sulla cenere” (Giobbe 42:5-6).

Queste parole segnano il momento cruciale in cui Giobbe, dopo aver ascoltato l’intervento diretto di Dio, riconosce la Sua grandezza e si umilia davanti a Lui. È un passaggio potente, che esprime una profonda trasformazione spirituale. In quel momento, Giobbe non contesta più, non pone domande: si riconosce uomo, e la sua anima trova pace all’ombra stessa di Dio.

Il lettore, pur sapendo più cose di Giobbe—perché ha accesso al dialogo celeste tra Dio e gli angeli all’inizio del libro, che Giobbe non conobbe mai—non è detto che comprenda appieno ciò che egli visse. Questo può accadere solo a chi ha sperimentato una manifestazione profonda e personale del divino.

Giobbe, nel suo silenzio finale, viene condotto al limite della conoscenza umana. Le parole divine non gli offrono risposte dirette, ma gli aprono l’orizzonte della creazione: cielo, terra, animali, forze cosmiche, misteri profondi.

È in questo scenario che possiamo collocare uno schema contemplativo e simbolico, in cui le dimensioni della realtà vengono trasfigurate.

Proveremo a semplificare con il seguente schema:

 

fig 1

All’esterno vediamo un quadrato tratteggiato, indefinito e indefinibile, che rappresenta Dio e la Sua Eternità: Colui che permea ogni cosa ancora prima della creazione.

Nel quadrato, tracciato come uno spazio aperto sull’infinito, si inscrivono due ellissi, misteriose e armoniche. La prima, posta all’esterno, accoglie la gloria del mondo invisibile: le schiere angeliche, i principi celesti,[1] le potenze create nei cieli, che acclamavano festanti all’alba della creazione (Giobbe 38:7).

La seconda, nel cuore della visione, abbraccia la terra e l’uomo, opera finale e mirabile delle mani di Dio, ‘fatto a sua immagine e somiglianza’ (Genesi 1:26), cui fu affidato il giardino, mentre Dio stesso infuse in lui l’alito della vita, rendendolo anima vivente (cfr. Genesi 2:7; 1 Tessalonicesi 5:23).”

Entrambe le dimore—quella delle creature spirituali e quella dell’umanità—sono unite in Cristo, ‘immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione’ (Colossesi 1:15), che riconcilia tutte le cose, ‘quelle nei cieli e quelle sulla terra’ (Colossesi 1:20), facendo di ogni spazio un’unica lode al Creatore.

Approfondimenti e Considerazioni Importanti

Nell’orizzonte che si apre tra il libro di Giobbe e il Nuovo Testamento, possiamo immaginare la realtà come un insieme di dimensioni concentriche, distinte ma comunicanti, ciascuna con i suoi abitanti e le sue leggi, tutte però contenute nel disegno divino.

La dimensione indefinibile di Dio non è semplicemente “più alta”: è qualitativamente altra, eppure pervade tutto. L’Eterno, invisibile e onnipresente, vede e penetra ogni cosa: la creazione angelica, quella umana, lo spazio e il tempo.

Le dimensioni inferiori, invece, sono parziali, limitate: chi vi abita non può accedere di propria iniziativa a quelle superiori. L’uomo, creatura tridimensionale, percepisce la realtà terrena ma non comprende la realtà angelica né tanto meno quella divina. Persino gli angeli, sebbene superiori all’uomo, contemplano senza possedere: riguardo alla redenzione, Pietro scrive che sono “cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo” (1 Pietro 1:12).

Eppure, Dio può creare varchi tra le dimensioni, finestre di manifestazione: epifanie in cui realtà superiori si rendono visibili nella forma compatibile con la nostra percezione. A volte si tratta di eventi sconvolgenti e ineffabili, come i rapimenti mistici (Paolo, “fino al terzo cielo” – 2 Corinzi 12); altre volte sono presenze nascoste nella quotidianità, come gli angeli che appaiono in sembianze umane (Genesi 18, l'incontro con Abramo).

Queste “aperture” non sono solo teofanìe, ma pedagogie divine, atti con cui Dio si rivela nella forma che possiamo sostenere, senza spegnerci sotto il peso della gloria. È il Dio “che abita una luce inaccessibile” (1 Timoteo 6:16), ma che ha voluto renderSi vicino, fino a farsi carne.

Proseguiamo la trasformazione spirituale sfiorando possibilità più elevate

Se le ellissi concentriche rappresentavano l’ordine delle dimore della creazione, la spirale ascensionale introduce la dinamica della trasformazione spirituale, della crescita guidata da Dio verso l’eterno.

La spirale della trasformazione: dalla nuova nascita all’eternità

Se il creato può essere rappresentato in dimensioni concentriche—la celeste e la terrena inscritte nell’Eternità—la trasformazione spirituale dell’uomo non si muove in cerchi statici, ma segue il ritmo vivo della spirale.

Essa parte da un punto interiore e nascosto: la nuova nascita in Cristo, invisibile agli occhi ma reale nello Spirito. Da lì, il raggio dell’anima dello spirito nell’uomo, permeato dallo Spirito Santo della Nuova nascita, si apre e si eleva, attraversando la storia personale e universale, avvicinandosi progressivamente al mistero della gloria divina.

La spirale non è fuga, ma trasfigurazione: l’uomo, reso partecipe della natura di Dio, viene trasformato “di gloria in gloria” (2 Corinzi 3:18), finché “non saremo più due, ma uno con Lui” (cfr. Giovanni 17:21-23). È un cammino che attraversa il tempo, ma non si esaurisce in esso. Il suo culmine avverrà nei “cieli nuovi e terra nuova” (Apocalisse 21:1), quando ciò che è incompleto sarà rivestito di eternità.

A differenza delle ellissi, che indicano strutture stabili della creazione, la spirale mostra un movimento trasformante: Dio non solo crea, ma plasma e chiama a salire. L’umanità salvata non si limita a esistere, ma diventa: cresce, si conforma, si unisce. 

fig 2

La spirale rappresenta il cammino della crescita spirituale dell’uomo. Nel nostro caso parte dal basso, dalla nuova nascita, e si apre verso l’alto, allargando sempre più il suo raggio. In ogni giro si fanno esperienze simili, ma con comprensione e profondità maggiori. È un cammino che si eleva senza perdere il contatto con la realtà: Dio guida chi sale verso la luce.

Se Dio vorrà, cercheremo di approfondire questo percorso nelle prossime tappe dello studio.



[1]  “Con ‘principi celesti’ si intendono qui non princìpi astratti o leggi divine, ma esseri personali dell’ordine angelico—come i ‘principati’ di cui parla Paolo in Efesini 3:10 e Colossesi 2:15.”

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