Dal Farisaismo al Rabbinismo: una Linea Ininterrotta di Opposizione Cristologica - n. 141
di Renzo Ronca 28-9-25 - prosegue da https://ritornocristiano.blogspot.com/2025/09/lingua-originaria-babele-il-fico.html
Dopo aver riflettuto sull’innesto spirituale e sulla radice ebraica, è naturale interrogarsi su ciò che è cresciuto da quella radice nel tempo. In particolare, ci chiediamo: che cosa è diventato il farisaismo dopo la venuta di Cristo? E come si manifesta oggi la sua eredità teologica?
Continuità storica
e teologica
Con la distruzione del Secondo Tempio (70
d.C.), il giudaismo subì una trasformazione profonda. I farisei — già noti per
la loro enfasi sulla Torah orale, sull’interpretazione scritturale e sulla vita
sinagogale — divennero il gruppo dominante. Da questa matrice nacque il giudaismo
rabbinico, che si strutturò attorno allo studio della Mishnah, del Talmud,
e alla codificazione della Halakhah.
Molte pratiche religiose moderne — la preghiera quotidiana, lo studio della Torah, la purità rituale — derivano direttamente dalla visione farisaica, estesa ora a tutto il popolo. In questo senso, si può parlare di una continuità ininterrotta: il rabbinismo non è una deviazione dal farisaismo, ma la sua evoluzione interna, che ha mantenuto intatta l’opposizione cristologica e la centralità della legge.
Una concezione
teologica che persiste
Questa continuità non è solo storica, ma
anche teologica. Il giudaismo rabbinico ha rifiutato il compimento messianico
in Gesù, mantenendo viva l’attesa di un messia davidico — terreno, politico, restauratore
del regno. In alcuni ambienti religiosi israeliani contemporanei, soprattutto
ortodossi e nazional-religiosi, questa attesa si è intensificata: si cerca un
liberatore nazionale, non un redentore universale.
La ricostruzione del Tempio, la centralità di Gerusalemme, e la sovranità politica sono viste come tappe verso questa manifestazione. È una visione coerente con la lettura giudaica tradizionale delle profezie, ma cieca rispetto alla rivelazione già compiuta in Cristo.
Prospettiva
cristiana: grazia e rimanente
Dal punto di vista cristiano, questa
linea teologica — pur ininterrotta — è errata, perché non riconosce il
Messia già venuto. La salvezza non verrà da una restaurazione politica, ma
dalla conversione spirituale. Come scrive Paolo: “Tu, che eri olivo
selvatico, sei stato innestato al loro posto e sei diventato partecipe della
linfa dell’olivo” (Romani 11:17). E ancora: “Per la loro caduta, la
salvezza è giunta ai Gentili” (Romani 11:11).
La Scrittura annuncia che un rimanente
d’Israele sarà salvato, non per merito, ma per grazia. Fino ad allora, la
linea rabbinica prosegue, ininterrotta, nel suo rifiuto del Cristo, ma non
fuori dal disegno di Dio.
Sintesi
- La continuità storica tra farisaismo e rabbinismo è
ampiamente riconosciuta, soprattutto per la trasmissione della Torah orale
e delle pratiche sinagogali.
- La continuità teologica, invece, è vista dalla prospettiva
cristiana come una opposizione ininterrotta al compimento
messianico in Gesù.
- Il rifiuto cristologico non è un’interruzione, ma una linea che prosegue, e che solo il rimanente — secondo Romani 11 — potrà spezzare per grazia.
Fonti storiche e accademiche
1.
Gianni
Montefameglio – Il rabbinismo: successione del fariseismo? In questo studio (Facoltà Biblica,
Lezione 8), Montefameglio afferma chiaramente che “il rabbinismo non sarebbe
altro che la prosecuzione del fariseismo”. Egli sottolinea che, dopo il 70
d.C., i farisei divennero il gruppo dominante, mentre sadducei ed esseni
scomparvero. Fonte PDF
2.
Jacob
Neusner – The Rabbinic Traditions about the Pharisees before 70 Neusner, uno dei massimi studiosi del
giudaismo rabbinico, pur riconoscendo la continuità, invita alla cautela: “Mi
sembra probabile che anche le altre personalità citate nelle catene fossero
farisei. Peraltro, sono sempre meno sicuro di questa conclusione.” Questo
mostra che la continuità è riconosciuta, ma non sempre documentabile in modo
lineare.
3. Luigi Nason – La nascita parallela del cristianesimo e del giudaismo rabbinico Nason evidenzia come, dopo la distruzione del Tempio, il giudaismo rabbinico si considerasse l’erede del movimento farisaico, mentre il cristianesimo si staccava da esso. I Vangeli, scritti in quel contesto, riflettono proprio il conflitto tra queste due visioni.
4. Wikipedia – Ebraismo rabbinico Anche la voce enciclopedica conferma che “l’ebraismo rabbinico iniziò dal giudaismo farisaico” e ne divenne la forma predominante nella diaspora, con la Mishnah e il Talmud come sviluppo della Torah orale.
Sezione meditativa
Gli ostacoli
all’unità: scandali, fraintendimenti e la promessa di riconciliazione
Per onestà spirituale, è giusto riconoscere che molti ebrei — incerti o sinceramente in ricerca verso il cristianesimo — si sono trovati davanti a versioni del cristianesimo che non riflettono il volto del Messia del primo avvento. Alcune denominazioni, nel corso del tempo, hanno preso direzioni teologiche e morali che appaiono contraddittorie, confuse, talvolta persino apostatiche. E così, con ragione umana, alcuni ebrei interessati si sono raffreddati e sono tornati sui propri passi, dicendo in cuor loro: “Se questo è il cristianesimo, allora non è per noi.”
Lo stesso accade, in senso inverso, per alcuni cristiani che si avvicinano all’ebraismo con rispetto e desiderio di comprensione. Di fronte a rigidità rituali, chiusure identitarie o visioni politiche che sembrano lontane dalla spiritualità biblica, anche loro si chiedono: “È questo il popolo della promessa?”
Questi fraintendimenti reciproci non
nascono dal cuore della rivelazione, ma dalle sue deformazioni storiche.
Sono scandali spirituali, che feriscono la ricerca sincera e ostacolano
il cammino verso l’unità. Eppure, proprio questi ostacoli rivelano quanto siamo
ancora lontani dall’unità profetizzata da Cristo: “Che siano uno, come noi
siamo uno” (Giovanni 17:11).
L’unità che il
Signore ha annunciato non è uniformità né compromesso. È radice condivisa, innesto sincero,
frutto spirituale. La pianta diventerà una sola dalla radice al frutto credendo in Gesù Cristo il Messia. Richiede conversione, umiltà, discernimento e questa rimarrà una scelta di coscienza. E
soprattutto, richiede che ciascuno — ebreo incerto, o cristiano confuso, —
torni alla Parola, non per difendere un’identità, ma per riconoscere il volto
del Messia.
La promessa per chi accoglie il Signore rimane:
non per restaurazione politica, né per coerenza rituale, ma per grazia,
nel tempo che Dio ha stabilito. Fino ad allora, noi cristiani siamo chiamati a
camminare con pazienza, a discernere con amore, e a portare frutto degno della
radice che ci sostiene.
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