L'Amore e il Dolore di Dio (Prima e Seconda Parte)

PRIMA PARTE - Il dolore divino

Chi davvero è cristiano è avvicinato da Dio, vale a dire è condotto progressivamente dalla Persona dello Spirito Santo alle sublimi altezze divine.

Penso che il cristiano abbia due intensi sentimenti in lotta tra loro: da una parte è ricolmo di gratitudine verso l’Eterno per averlo avvicinato e salvato; dall’altra è ferito dal dolore per come il mondo continua a disprezzare il Signore. In altri termini l’uomo vicino a Dio gioisce della Sua presenza, ma soffre per le Sue sofferenze.

Gesù Risorto quando compare ai discepoli riuniti mostra loro le ferite sul suo corpo. Un segno distintivo per farsi riconoscere, ma anche il perdurare del ricordo della passione; questo stato d’essere “morte-vita” resterà così per ogni cristiano battezzato e “nato di nuovo” fino a quando resterà questo sistema di cose.

I tre giorni nella tomba

È molto difficile capire questo insieme “morte-vita” che ci accompagna per tutto il tempo della nostra vita terrena, ma ancora di più è difficile capire i tre giorni in cui Gesù restò nella tomba prima di resuscitare.
Per comprendere queste profondità avremmo bisogno di una componente a noi sconosciuta, come la realtà divina nell’eternità. C’è uno svolgimento degli eventi nel tempo terreno ed uno svolgimento nell’eternità; questi due svolgimenti hanno leggi, prospettive, “dimensioni”, completamente diverse; dove la dimensione inferiore non può conoscere la dimensione superiore, salvo nell’estasi mistica. Invece la possibilità più comune che al cristiano è data per capire e applicare i significati della Scrittura biblica è tramite la fede, in preghiera. In questi momenti di raccoglimento e riflessione silenziosa lo Spirito di Dio potrà aprirci la mente, proprio come accadde ai due discepoli di Emmaus in Luca 24:31 “Allora i loro occhi furono aperti e lo riconobbero”.

Fatto sta che Gesù morì realmente sulla croce “con gran dolor, pensando a me” come dice un famoso cantico. Poi fu sepolto. La sepoltura di Gesù è una fase ancora più difficile da intendere perché sembra rafforzare la morte; consolida l’apparente fine di tutta la persona amata, facendo sparire ogni aspetto terreno del corpo, inabissandolo nelle profondità della terra. Nella terra, dentro la terra, nella polvere primordiale da cui l’uomo è stato tratto. Sembra un annullamento totale e completo, ma è solo ciò che vedono i nostri occhi corporei, non così per la fede. La morte è già di per sé un fatto incomprensibile e inaccettabile dalla nostra mente, che non è stata creata per la morte ma per la vita eterna. A maggior ragione pensate alla sepoltura di Gesù, il Messia, il Signore, Dio incarnato, che giace nel fondo oscuro della terra. Tutto il nostro essere è davanti a un assurdo: come può morire Gesù Signore Dio? Lì dentro quella tomba passano le ore, un giorno, due giorni, tre… è come se la persona tanto amata poco prima nella vita fisica, fosse relegata nel passato. Passato, finito, non c’è più.

È qui allora il senso della spaccatura più grande nel nostro cuore, nel nostro corpo di carne… il nostro corpo come tempio… il centro del tempio si strappa, si squarcia in due, come la cortina del tempio (Matt 27:51a). Nel seppellimento di Gesù il nostro uomo carnale è nel buio completo, ha paura e perde ogni orientamento chiuso nella sua stanza.

Non la capiamo la morte: né quella del Signore, né quella di una persona cara, né la nostra. E come potremmo? Il peccato, che conduce alla morte, non c’entra con la creazione. Non c’entra con l’uomo destinato all’eternità. L’uomo è stato creato senza il peccato. Il peccato è un estraneità, è subentrato dopo, con la trasgressione della legge dell’Eden.

Ma da cosa ci possiamo rendere conto che la Sua morte ci ha liberati?

È la morte in croce che ci ha liberati?

No, perché molti altri sono morti in questo modo, ma non è quello che dimostra la vittoria sulla morte. La prova della vittoria di Gesù sulla morte non sta nell’essere morto, ma nell’essere risorto!

E come è avvenuta la resurrezione? Ovviamente non sappiamo le dinamiche spirituali che sono nascoste in Dio, però sappiamo che solo Lui poteva farlo nell’adempimento della missione salvifica terrena già stabilita dall’Eterno: Giovanni 10:17 “Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi. 18 Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla. Quest'ordine ho ricevuto dal Padre mio”.

Si tratta di una offerta per amore nostro, ma tramite dolore. Sofferenza non solo nel momento della croce ma anche prima e dopo, per l’irriconoscenza e la superbia che Satana ha seminato nei cuori degli uomini che hanno tradito Dio. Per questo simbolicamente Giuda Iscariota era anch’esso tra gli apostoli, per far capire che anche una parte della chiesa l’avrebbe poi tradito.

Il dolore di Dio quindi è presente nell’amore di Dio

Il dolore di Dio quindi è presente anche nell’amore di Dio. Dio ama ma prova anche sofferenza. Tale sofferenza non è solo per se stesso in Cristo quando ebbe i patimenti, ma anche per ciascuno di noi nel corso della nostra vita quando qualcuno di noi viene “flagellato” da mille circostanze avverse. Dice infatti in Giovanni 15:18 «Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. 19 Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello che è suo; siccome non siete del mondo, ma io ho scelto voi in mezzo al mondo, per questo il mondo vi odia. 20 Ricordatevi della parola che vi ho detta: "Il servo non è più grande del suo signore". Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. 21 Ma tutto questo ve lo faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato. 22 Se non fossi venuto e non avessi parlato, loro non avrebbero colpa; ma ora non hanno scusa per il loro peccato. 23 Chi odia me, odia anche il Padre mio. 24 Se non avessi fatto tra di loro le opere che nessun altro ha mai fatte, non avrebbero colpa; ma ora le hanno viste, e hanno odiato me e il Padre mio. 25 Ma questo è avvenuto affinché si adempisse la parola scritta nella loro legge: "Mi hanno odiato senza motivo".

Quindi ripeto: Lo sofferenza raffigurata nel Figlio di Dio rifiutato schernito flagellato e ucciso tra i tormenti è anche la sofferenza per te, per me, per ciascuno di noi, quando proviamo anche noi cosa significa essere trattati ingiustamente, traditi, respinti da chi amiamo.

La sofferenza del Signore non è esibita per provocare una reazione, ma è nascosta in Dio e “trasmessa” ad alcuni. A volte nella Scrittura biblica si mostra, se la sappiamo cogliere.

Geremia il dolore di Dio

Il capitolo 20 del libro di Geremia è noto per il suo intenso lamento, dove il profeta esprime una profonda angoscia e frustrazione. Questo capitolo è spesso interpretato come un riflesso della lotta interiore di Geremia, che si sente abbandonato e sopraffatto dalla sua missione profetica; tuttavia alcuni commentatori vedono in questo lamento una forma di dialogo con Dio, anche se sembra che Dio non risponda direttamente. Si tratta di un intimo rapporto spirituale tra anima e Dio in cui vengono coinvolte le emozioni, i sentimenti e la vita stessa del profeta. Il profeta spesso è così unito a Dio da provare in se stesso e nella sua vita le stesse cose che Dio prova.

La mancanza di una risposta immediata alla fine del cap. 20 può essere interpretata come un invito a una fede più profonda e a una comprensione più matura della relazione con Dio; infatti Geremia, nonostante il suo dolore, continua a svolgere la sua missione, dimostrando una fede resiliente. Inoltre, il passaggio dal capitolo 20 al capitolo 21, dove il tema cambia, può essere visto come un segno della complessità della vita e della fede. La Bibbia spesso presenta la vita dei profeti in modo concreto e schietto, mostrando sia i momenti di grande fede che quelli di dubbio e sofferenza.

Riportando a noi quanto detto

Ora, se nell’AT la figura del profeta che Dio sceglieva per trasmettere la Sua volontà era relativamente rara, nel NT il concetto di profetismo cambia completamente, investendo e responsabilizzando potenzialmente tutti i credenti. Questo è dovuto ai doni e all’opera dello Spirito Santo che, per i meriti di Cristo, dal battesimo e dalla “nuova nascita”, risiede su tutti noi; infatti la Persona divina dello Spirito Santo, ci avvolge e ci trasmette parti del carattere divino. Non è che tutti sono profeti inteso come ministero o vocazione particolare, tuttavia la conoscenza maggiore delle profezie e la comprensione più approfondita di esse negli ultimi tempi, riteniamo sia un fatto che Dio stesso ha stabilito dall’antichità, e dunque interessa tutti noi che siamo nella “chiesa del rimanente”.

Questo significa che alcuni di noi tramite lo Spirito Santo, che è come il fiume di Dio, possano essere innaffiati da Lui in quanto Essere. Infatti se Dio gioisce per l’eternità futura e soffre per i figli che si sono allontanati, allora avvicinandosi a noi, le nostre anime che lo Spirito Santo lambisce, non proveranno quello che prova Dio?

Se ci pensate si tratta di una apertura di Dio, come aprire un velo, come un rivelarsi appunto. Ora Dio ama l’uomo ed ama rivelarsi a Lui, perché l’amore è proprio questo: una unione coinvolgente a livelli sempre più elevati e profondi. “Poiché il Signore, l'Eterno, non fa nulla, senza rivelare il suo segreto ai suoi servi, i profeti” (Amos 3:7). E allora se Dio si mostra all’anima nostra, cosa mostra? Non rivelerà anche parte del Suo segreto dolore? Pensate al momento del Getsemani: Dio in Cristo non chiese a quelli più vicini di condividere il suo travaglio? “Allora egli disse loro: «L'anima mia è profondamente triste, fino alla morte; restate qui e vegliate con me»” (Matteo 26:38). Noi che siamo cresciuti nell’amore di Dio per i meriti di Cristo e protetti e guidati dallo Spirito Santo, quando Dio si avvicina per aprire il Suo cuore al nostro cuore, come possiamo non essere intimamente turbati e scioglierci da questo Suo amore? Siamo di fronte a cambiamenti epocali in cui molti uomini moriranno per essersi allontanati da Dio. Dio non prova dolore per questo? E se chiamasse alcuni di noi vicino a Sé per condividere anche questo sentimento?

La chiamata del Signore infatti presenta due aspetti su cui si riflette poco: Marco 3:13 Poi Gesù salì sul monte e chiamò a sé quelli che egli volle, ed essi andarono da lui. 14 Ne costituì dodici per tenerli con sé 15 e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni.

Quando il Signore si avvicina a noi e “tocca” il nostro cuore, lo fa con grande discernimento (“salì sul monte”) e per due motivi: 1) per tenerli con Sé; 2) per mandarli a predicare.

Da giovani forse siamo presi solo dalla seconda: la missione, l’evangelizzazione, andare a predicare, convertire… Ma diventando poi più anziani comprendiamo l’importanza della prima: “essere accanto a Lui”. Dio è un Essere e come tale trasmette non solo ciò che è, ma anche ciò che ha dentro. Non che ne abbia bisogno, ma l’amore di cui è composto Lo spinge ad essere “per forza” così. L’amore è così. Offri ciò che sei, ciò che hai, interamente.

Ma percepire il dolore di Dio che effetto può produrre in noi?

Quando si parla del “dolore di Dio” e di come questo possa essere percepito dall’anima, ci sono molti aggettivi che potrebbero descrivere questa esperienza. Alcuni dei termini “assemblati” insieme potrebbero darci una vaga idea di quanto questo argomento sia profondo, delicato, pericoloso e toccante.

  • Struggente: Questo aggettivo cattura bene il senso di un dolore che tocca profondamente l’anima, evocando un’intensa emozione.
  • Inquietante: Potrebbe descrivere il turbamento e la confusione che si possono provare di fronte a un dolore così profondo.
  • Terrificante: Se il dolore è percepito come qualcosa di travolgente e spaventoso.
  • Commovente: Quando il dolore è così profondo da muovere l’anima e suscitare una forte risposta emotiva.
  • Sciogliere: Potrebbe indicare un dolore che porta a una sorta di resa o abbandono emotivo.
  • Annullare: Se il dolore è così intenso da far sentire l’anima come se fosse annullata o dissolta.
  • Desiderio di restare con Lui: Questo esprime un sentimento di vicinanza e un desiderio di unione con Dio, nonostante o proprio a causa del dolore.

È per questo, probabilmente, che lo Spirito Santo investiga i cuori, li sceglie e si rivela loro gradatamente. L’anima nostra infatti, “rapita” “risucchiata” da tanta potenza e intensità, potrebbe anche essere così turbata e “bruciata” dal Suo amore da non voler più risiedere nella carne, e desiderare di restare in quella eternità che come un flash ha per un istante percepito.
Per questo l’amore di Dio è sconvolgente ma anche delicato, perché sa che siamo vasi di terracotta molto fragili.

Chi ha provato esperienze mistiche di questo genere dovrebbe tenerle nel proprio cuore come un tesoro da cui attingere forza nel quotidiano.

Chi invece non le ha sperimentate ma rimane perplesso dal fatto che Dio possa provare dolore, può riflettere cercando una prospettiva nuova nella sofferenza che a volte proviamo, pur essendo cristiani e dunque ripieni di speranza. Una marcia in più rispetto agli altri è la speranza; e saggezza è invece aspettare umilmente che Dio continui a rivelarsi. Un giorno infatti lo vedremo per come realmente è ed allora non avremo più domande, ma saremo pervasi della Sua santità.

"Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quando egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com'egli è." (1 Giovanni 3:2)

Lode a gloria a Dio.


SECONDA PARTE - La Sepoltura

Il concetto di morte è difficile per tutti da capire e da accettare; ne siamo spaventati e per questo forse evitiamo di pensarci troppo e subito pensiamo ad altro.

Ho accennato la volta precedente a quando Gesù, dopo la morte in croce fu sepolto e vi ho dato un certo risalto. Vediamo di chiarirlo meglio:

La sepoltura di Gesù per tre giorni non è solo un dettaglio cronologico, ma ha un significato profondo. Quando una persona muore, c’è ancora una sorta di “presenza” del corpo che può dare l’illusione di vita. Tuttavia, una volta che il corpo è sepolto, questa illusione svanisce completamente. La sepoltura rappresenta la definitiva separazione dalla vita, un punto di non ritorno dal punto di vista umano.

Da un punto di vista psicologico, la sepoltura rafforza l’idea della morte come qualcosa di irreversibile. Gli apostoli e i discepoli di Gesù, vedendolo sepolto, avrebbero percepito questa irreversibilità in modo molto forte. La loro sorpresa e incredulità alla resurrezione di Gesù dimostrano quanto fosse radicata in loro l’idea della morte come punto di non ritorno. La resurrezione, quindi, non è solo un ritorno alla vita, ma una vittoria su questa percezione di irreversibilità.

Quindi la sepoltura di Gesù ha reso la sua resurrezione ancora più straordinaria. Non era solo un corpo morto che tornava in vita, ma un corpo che aveva attraversato la completa separazione dalla vita e che, contro ogni aspettativa umana, è tornato. Questo rafforza il messaggio di speranza e di vittoria sulla morte che grazie alla resurrezione è centrale nel cristianesimo.

La sepoltura di Gesù ha anche altre prospettive, che però qui non approfondiremo troppo perché nessuno finora le ha comprese con esattezza: l’apostolo Pietro ci accenna un mistero che forse rappresenta il confine attuale, il limite estremo di confine tra la vita nostra ed altre dimensioni spirituali per ora sconosciute: 1Pietro 3:18 “Anche Cristo ha sofferto una volta per i peccati, lui giusto per gli ingiusti, per condurvi a Dio. Fu messo a morte quanto alla carne, ma reso vivente quanto allo spirito. 19 E in esso andò anche a predicare agli spiriti trattenuti in carcere, 20 che una volta furono ribelli, quando la pazienza di Dio aspettava, al tempo di Noè, mentre si preparava l'arca, nella quale poche anime, cioè otto, furono salvate attraverso l'acqua. 21 Quest'acqua era figura del battesimo (che non è eliminazione di sporcizia dal corpo, ma la richiesta di una buona coscienza verso Dio). Esso ora salva anche voi, mediante la risurrezione di Gesù Cristo, 22 che, asceso al cielo, sta alla destra di Dio, dove angeli, principati e potenze gli sono sottoposti”.

Questo passo richiede estrema cautela essendo i teologi molto divisi sul suo significato. Alcuni ne fanno dottrine molto discutibili. Speriamo di accennare in futuro anche la nostra opinione che ora richiederebbe una digressione eccessiva. Per ora ci basti sapere che la Scrittura mostra volutamente delle zone d’ombra del Signore sia per mostrarci che esiste molto di più di quanto pensiamo, e sia per farci restare umili perché non tutto è alla nostra portata. Possiamo fare delle ipotesi ma col dovuto timor di Dio. Quando il Signore tornerà, aprendo la nostra mente, ci spiegherà meglio ogni cosa.

Perché ci appare tanto faticoso o sorprendente parlare della “sofferenza di Dio”?

Ritengo vi sia più di una risposta:

  • La morte di per se stessa è un qualcosa che non capiamo proprio perché secondo il progetto di Dio non siamo nati per morire. La morte è la parte finale del peccato, ma non rientra nell’opera e nell’Essere di Dio. Alla fine tolto tutto il peccato sparirà anche la morte, che per ora è come un nemico: 1 Corinzi 15:26 "L'ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte".
  • Il cristiano, in Gesù Cristo il Signore e Dio, sapendo della Sua morte in croce, potrà non capirla del tutto, però non dovrebbe essere sorpreso della “sofferenza di Dio”, la quale meditandoci un po’ sopra, presenta diversi spessori abbastanza accessibili cui potremmo e dovremmo avvicinare, altrimenti il Signore nel Getsemani non avrebbe detto per tre volte agli apostoli più maturi: Matteo 26:38 Allora disse loro: «L'anima mia è oppressa da tristezza mortale; rimanete qui e vegliate con me».

  • Il Verbo incarnato, Gesù Cristo nostro Signore e Dio nella sua vita ha anche provato tristezza, angoscia e dolore. Non dovrebbe sorprenderci. Un padre della Chiesa come Ireneo di Lione (130 - 202 d.C.) nel suo scritto Contro le eresie (libro III, capitolo 22, paragrafo 3) disse anche: "Ciò che non è stato assunto, non è stato sanato; ciò che è stato unito a Dio, questo è salvo." frase che semplificata potrebbe essere utilmente resa anche con “Ciò che Cristo non ha assunto non ha redento, ciò che Cristo ha assunto ha anche certamente redento”. Quindi quando noi proviamo tristezza e dolore, come cristiani ci associamo alla tristezza e al dolore di Cristo, e non dovremmo sentirci in colpa, ma anzi proprio perché Cristo lo ha provato e può comprenderci, ci aiuterà a anche superarlo santamente. (G.C.)
  • Dalle domande che vi sono state su questo argomento mi pare di capire che i credenti cristiani provenienti da una formazione cattolica o ortodossa capiscano meglio e prima la sofferenza divina per il peccato dell’uomo; mentre i credenti nati in ambiente protestante ed evangelico siano un poco più confusi e diffidenti. Tutto ciò è abbastanza comprensibile perché noi evangelici abbiamo fin troppo enfatizzato la salvezza per grazia, tanto che se uno è triste, magari l’anziano di chiesa gli domanda “ma sei sicuro che il Signore ti abbia salvato?”! Se i cattolici forse hanno un poco appesantito il senso della sofferenza dando l’impressione della necessità di dover aggiungere la propria sofferenza a quella di Cristo per la propria salvezza (mentre il sacrificio di Cristo è completo e non ha bisogno di alcuna aggiunta salvifica), d’altra parte gli evangelici hanno ecceduto a volte nella necessità dell’allegria ignorando il dolore dell’anima di riconoscenza per l’offerta d’amore del Cristo, che è tutto un altro discorso. Non a caso mi pare di capire che parte della teologia protestante più recente stia recuperando questo aspetto. Ad ogni modo se non impariamo ad essere cristiani equilibrati senza distinzioni denominazionali, non cresceremo mai: 1Corinzi 3:1 Fratelli, io non ho potuto parlarvi come a spirituali, ma ho dovuto parlarvi come a carnali, come a bambini in Cristo. 2 Vi ho nutriti di latte, non di cibo solido, perché non eravate capaci di sopportarlo; anzi, non lo siete neppure adesso, perché siete ancora carnali. 3 Infatti, dato che ci sono tra di voi gelosie e contese, non siete forse carnali e non vi comportate secondo la natura umana? 4 Quando uno dice: «Io sono di Paolo»; e un altro: «Io sono d'Apollo»; non siete forse uomini carnali? 5 Che cos'è dunque Apollo? E che cos'è Paolo? Sono servitori, per mezzo dei quali voi avete creduto; così come il Signore ha concesso a ciascuno. 6 Io ho piantato, Apollo ha annaffiato, ma Dio ha fatto crescere; 7 quindi colui che pianta e colui che annaffia non sono nulla: Dio fa crescere! 8 Ora, colui che pianta e colui che annaffia sono una medesima cosa, ma ciascuno riceverà il proprio premio secondo la propria fatica.

R.R.